2 gennaio 2011

La stampa che vorrei

di Marcello Veneziani

Il mal’anno a mezzo stampa. Il 2010 ci ha lasciato un governo ammaccato, un’opposizione stracciata, un Paese avvilito. Il tutto incartato nelle pagine dei quotidiani che ne hanno drammatizzato il quadro. L’anno appena concluso ha visto infatti i giornali non semplici testimoni ma protagonisti e ispiratori della lotta politica e della vita civile e incivile del nostro Paese. Veniamo da un anno di veleni a mezzo stampa. Veleni efficaci se si considerano gli effetti che hanno avuto sulla politica, sui poteri, ma anche in edicola, per reagire alle vendite boccheggianti. A dimostrazione che i nuovi media non hanno affatto soppiantato l’importanza strategica, benefica e malefica, della carta stampata. Sono ancora i giornali a formare in primo grado l’opinione pubblica del Paese. Proviamo allora a tracciare un bilancio di come si presenta oggi, a inizio anno, la stampa italiana. Il quadro d’insieme, che somiglia a un bollettino di guerra, si presenta così: ci sono vari giornali decisamente orientati verso il centrosinistra e le opposizioni, guidati dal gruppo de la Repubblica; in versione più foderata, ci sono Stampa e Sole 24 ore e, in versione più radicale, Il Fatto, il Manifesto, l'Unità, più una galassia di minori. A fianco ci sono Il Messaggero e il Mattino di Caltagirone, inclinati a sinistra, ma vicini a Casini. Poi ci sono alcuni giornali oscillanti tra l’equidistanza e l’opposizione, come il Corriere della Sera, che il direttore e pochi editorialisti cercano di tenere neutrali ma la proprietà, la redazione e le firme fanno propendere per il centrosinistra o almeno il terzo polo. Quindi ci sono i giornali favorevoli al centrodestra, come il Giornale, Libero e Il Tempo. Infine varie testate locali e regionali, alcune semiclandestine, con finanziamento pubblico, più fogli amatoriali (come Il Foglio e, in parte, il Riformista). Quanto conta la proprietà, e i suoi interessi, sulla linea dei giornali? Conta tanto, è inutile negarlo. Per i giornalisti la differenza di fondo è chiara: c’è chi scrive su un giornale perché ne condivide la linea e c’è chi invece segue la linea del giornale perché vi scrive. Il primo sposa convinzioni, il secondo sposa convenienze. Questa è la vera linea di confine etico e deontologico tra liberi e servi.

Ai due estremi ci sono i giornalisti d’assalto, inviati di guerra in tempo di pace. Con scarponi, machete e tuta mimetica. Ma la novità è l’estremismo di grandi giornali che hanno sposato anche linee eversive, di aperto appoggio alla piazza e agli assedi, alle campagne violente e all’uso militante, contundente e distorsivo dei commenti e dei fatti. La Repubblica, ad esempio, andrebbe studiata nel passaggio da giornale radical snob (visto che chic è usurato, e snob vuol dire sine nobilitate) a giornale da caccia all’uomo, imperniato sul razzismo etico verso il nemico e la guerra civile semi-fredda tra due Italie che si schifano. Lo dico senza nulla togliere alla qualità di alcune firme e di alcuni articoli.

A questi giornali d’opposizione in tenuta da guerra, hanno risposto a tono i giornali filogovernativi, con titoli aggressivi e campagne di stampa di pari veemenza. La differenza è che i primi sono rimasti intoccabili e incensurati, i secondi sono stati sanzionati e denigrati come macchine del fango. Dopo un anno di esondazioni, il merdometro segna ora livelli di guardia. È difficile sopravvivere a questo clima senza essere schiacciati dal brutale obbligo di schierarsi e insultare. Ma il mal’anno è finito. Lasciamo ai giornali corsari il compito di continuare la battaglia con toni guerreschi, senza ergerci a giudici di nessuno e senza scagliare la prima pietra. Ma le stagioni cambiano, urgono svolte e ritorni di stile. Lo dico al Giornale fondato da Indro Montanelli, il Montanelli dei primi 84 anni, non quello degli ultimi 8. Il Giornale non può essere un quotidiano corsaro, non può sovrapporsi a Libero, anzi, è bene che si differenzino. Auguri a Feltri che segue, com’è giusto, il richiamo del sangue e della foresta. Libero è suo figlio, e i figli - anche a nord, come dimostra Bossi - so’ piezz’e core. Il Giornale, invece, ha una storia, dev’essere un primo giornale, e non un secondo giornale di guerriglia. Chiaro e deciso nei suoi orientamenti, ma più sobrio e rigoroso nei toni, capace di raccontare fatti e non solo versioni, inchieste e non solo campagne, contenuti e non solo titoli, commenti e non veleni. Un Giornale liberamente e criticamente schierato. Un Giornale che esce dalla pubertà e riprende il filo sommerso del suo stile. Se i giornali sono lo specchio del Paese che cambia, il Giornale dovrebbe rispecchiare in modo spigliato, non sbracato, la nuova Italia di centrodestra nelle sue varie anime: moderata, conservatrice, liberale, tradizionale, cattolica, nazionale. Tante Italie non sempre coincidenti ma convergenti nel gusto di non allinearsi al canone ideologico prevalente nella stampa italiana. Un’Italia col gusto di leggere, che ama la cultura e non la disprezza, che rispetta le leggi e lo Stato ma non rinuncia a essere critica verso chi, nel nome delle leggi o dello Stato, fa carne da porco del diritto e dei beni pubblici. Un giornale che esprime l’opinione della maggioranza, almeno relativa, del Paese e sostiene il governo, può essere anche ironico, vivace, paradossale e brillante ma non esagitato, aggressivo, brutale. Si può essere decisi ma eleganti, e si può essere chiari senza essere rozzi. Anche per concorrere a elevare la qualità di quel popolo, maggioritario nelle urne, minoritario nella lettura. E non solleticare la sua pancia, il suo basic instinct. Proposta per l’anno nuovo: via le corazze e le clavi dai giornali, almeno quelli non corsari. L’Italia, i lettori, il dio della stampa, ve ne renderanno merito.


Testo tratto da http://www.ilgiornale.it/ del 2 gennaio 2011

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